Territorio e Frazioni
l paesaggio è quello tipico della collina, con una successione continua di crinali e valli, con pendii a media pendenza; la parte pianeggiante occupa poco più del 10% della superficie complessiva e un altro 10 % è rappresentato da terreni in debole pendenza; il resto sono terreni con media e forte pendenza. Nonostante ciò la maggior parte del terreno è coltivata a vigneto, seminativo, prato e pascolo; il resto è a bosco o incolta.
Ultima modifica 30 maggio 2024
Il patrimonio boschivo è prevalentemente a ceduo, utilizzato per legnatico; i boschi naturali sono marginali e localizzati in zone impervie e a forte pendenza. Le essenze presenti sono in prevalenza latifoglie, con alcune conifere.
Vi sono due tipologie di boschi:
a) bosco mesofilo, tipico dei suoli profondi e localizzato nei versanti a nord, dove si trova il Cerro, la Roverella, il Rovere e l’acero. Nei suoli più umidi e pietrosi vegeta anche l’Orniello e il Carpino
b) bosco xerofilo, tipico dei suoli aridi e localizzato nei versanti a sud dove si trova la Roverella, la ginestra e il ginepro
La Roverella è riconoscibile nel periodo autunnale, perché, essendo l’ultimo albero a perdere il fogliame, emerge dagli spogli boschi di latifoglie, con la sua massa fogliare marrone.
Sono ormai rari i castagni. Quelli rimasti sono i residui di quelli impiantati agli inizi del secolo scorso a fini alimentari. Il castagneto abbandonato tende a regredire a favore del querceto.
Da segnalare la presenza del Pino Silvestre, con la caratteristica corteccia rossiccia, nei versanti del m. Duro, m. Mesolo e m. Pilastro, specie autoctona residuale dell’ultimo periodo glaciale. Le stazioni di Pino silvestre nella collina reggiana sono le più meridionali in Italia.
I boschi di dimensioni maggiori sono quelli di m. Duro – m. Mesolo – m. Pilastro e del Cavazzone. Da segnalare la pineta di Cà del Vento (proprietà privata)
Nei boschi o isolate vi sono alcune querce di notevoli proporzioni: da segnalare quella situata sulla carrabile tra Cà Bertacchi e Casola Q.la.
Dagli strati rocciosi del crinale del m. Pilastro e del m. Mesolo fuoriesce una sorgente di acqua minerale e una di acqua solforosa che vengono raccolte nella fontana del “Pilastro”, posta sulla carrabile tra Regnano e S. Giovanni Q.la, prima della deviazione per S. Pietro di Q.la.
Il territorio del Comune di Viano è attraversato da un tratto del sentiero naturalistico Spallanzani e, nella parte alta della valle del rio Faggiano, è stato realizzato dall’Amministrazione Comunale il sentiero naturalistico del Querciolese.
Il sentiero Spallanzani, che collega Scandiano con il rifugio Battisti, nel cuore dell’alto Appennino Reggiano, entra nel territorio comunale a Rondinara, raggiunge la Minghetta, percorre il crinale tra il rio Faggiano e il torrente Tresinaro sino a Mamorra, per poi scendere nel rio Faggiano e risalire a Regnano, passando per le Salse. Da qui prosegue verso il rio Cesolla, in territorio vezzanese, per poi ritornare nel Comune di Viano sui versanti ovest del m. Mesolo e raggiungere S. Giovanni Q.la. Da qui scende verso Cà Maseroli e Sorriva per proseguire al lago del Tasso, in comune di Casina.
Il sentiero naturalistico del Querciolese ha un percorso ad anello che passa per le frazioni di Cà Bertacchi, Tabiano, Castello Q.la, Cervara, Regnano, Cortevedola e zone di interesse naturalistico (salse di Regnano, bosco di Castello Q.la, zona meridionale di Cà del Vento,…)
Il sottosuolo è costituito da rocce sedimentarie appartenenti alla formazione Epiligure Ranzano – Bismantova, appoggiata su unità caotiche e al substrato Liguride di m. Cassio. La formazione Epiligure è costituita dalle Marne di Montepiano, dalle Arenarie di Ranzano, dalle Marne di Antognola e dalle Arenarie di Bismantova. Le formazioni rocciose sono definite Epiliguri e Liguridi, perché formate nell’oceano Ligure – Piemontese situato di fronte all’attuale Liguria. Le rocce sono state sollevate sopra il livello del mare dalla spinta che la zolla crostale Africana ha prodotto verso la zolla crostale Europea e successivamente traslate e franate nel luogo attuale, la collina emiliana.
E’ interessate l’assetto strutturale della valle del rio Faggiano che presenta un’ampia sinclinale (piega concava verso l’alto, in cui le rocce più recenti si trovano al centro), interessata da diverse faglie (frattura nella roccia, con scorrimento delle due parti a contatto). La sinclinale ha giacitura ovest-nord-ovest / est-sud-est. Le sue estremità sono rappresentate a sud dai rilievi di S. Siro e a nord dai versanti meridionali di Cà del Vento, e la linea mediana dall’asse Regnano – Rondinara. Attraversando la sinclinale da S. Siro e Tabiano si incontrano le formazioni rocciose che la formano:
ARGILLE VARICOLORI
Formazioni argillose del periodo cretacico (80/100 milioni di anni fa) con striature colorate dovute a ferro (rosso mattone), manganese (violacei), grigio cenere (arenaria), biancastro (calcare), con giacitura caotica. Si trovano lungo la direttrice Cà Schiavino – S. Siro – calanchi di Baiso e a Tabiano – Cà Betacchi (aree calanchive). E’ una formazione alloctona di mare profondo, con scarsissima presenza di fossili, talvolta non coevi alla roccia. La sua presenza nella montagna e collina reggiana è dovuta a franamenti successivi generati dalla formazione del rilievo appenninico, che hanno portato questa formazione rocciosa a occupare vasti spazi, localizzati soprattutto nei fondovalle. La giacitura caotica dipende sia dalle frane sopraccitate, sia a frane sottomarine. E’ possibile trovare piccoli cristalli di pirite, calcite spatica e in cristalli, gesso in cristalli, aggregato o geminato, limonite come prodotto di alterazione della pirite, barite in cristalli e spatica.
FLISH DI MONTE CASSIO
Si trovano lungo la direttrice m. Duro, m. Mesola, m. Pilastro, m. Lusino e la diretttrice Montebabbio (a nord) – stretta del Tresinaro a Cà Sforacchi. Successione ritmica di strati formati da calcareniti giallastre e marne grigie più tenere. Sono rocce di origine torbiditica (depositi di mare profondo dovuti a frane subacquee e seguente sedimentazione, fatta da corrente di torbida, secondo sequenze stratificate: prima si deposita il materiale più grossolano, poi quello più fine). Risalgono al periodo Paleocene inf – Santoniano (80 – 60 milioni di anni fa). Le marne hanno colore di alterazione bianco giallastro e sono grige o grigio-scure al taglio fresco; diventano più argillose nella parte superiore assumendo un tipico aspetto a “scaglietta”. Sono ben visibili sul m. Pilastro e passeggiando lungo i versanti del m. Duro
ARGILLE DI VIANO
Formate nel Cretacico sup – Paleocene?; 55 – 65 mln di anni fa. Si trovano lungo la direttrice Montalto – Paderna – aree prative sotto Casella e S. Pietro Q.la – molino del Tabello in Tresinaro e la diretttrice avente la stessa inclinazione e passante a nord di Montebabbio. Sono roccie grigio scure a focature rossastre con sottili intercalazioni calcaree giallastre. Le argille di Viano ricoprono la formazione Liguride di m. Cassio e fanno da substrato alla successione epiligure, essendo ricoperte dalle marne di Montepiano
MARNE DI MONTEPIANO
Occupano la zona prativa sotto Casella e S. Pietro Q.la e la loro dislocazione segue la direttrice Montalto – Paderna – calanchi sotto Baiso e la direttrice passante a nord di Montebabbio e avente la stessa direzione geografica. Sono costituite da argille marnose e marne di color rosso mattone con porzioni verdine e livelli sabbiosi biancastri. Sono il risultato della sedimentazione, avvenuta tra l’Eocene sup e l’Oligocene inf., 45 – 35 mln anni fa, di fini particelle argillose e calcaree su fondali marini profondi; il loro assetto deformato si deve in parte a franamenti sottomarini.
ARENARIE DI RANZANO
Sono posizionate lungo la direttrice Montalto – m. Alfonso – Fondiano – Carbonaso – Castello Q.la – m. Bergola – Paderna e la direttrice Tabiano – Rondinara – Montebabbio
Rocce sedimentarie grigio scure conglomeratiche e arenarie a granulometria grossolana, con intercalati strati marnosi-siltosi. Sono rocce di origine torbiditica. E’ presente in grosse bancate con inclinazione nord-est. La formazione risale all’oligocene inferiore – eocene superiore, circa 30 – 35 milioni di anni fa.
Caratteristiche delle arenarie di Ranzano sono le “sands-ball”, palle di sabbia di colore scuro, che emergono dalla roccia sottostante per effetto dell’erosione meterorica. Sono derivate da una cementazione differenziale; contengono talvolta ciottoli provenienti da rocce ofiolitiche (di origine vulcanica effusiva) e da rocce sedimentarie. Si incontrano percorrendo la carrabile Fondiano – S. Giovanni Q.la e Fondiano – Montalto
MARNE DI ANTOGNOLA
Sono rocce grigio – verdoline, talora con intercalazioni sabbiose. Sono riconoscibili per l’elevata durezza e la frattura scheggiosa. Sono disposte secondo la direttrice Tabiano – destra idrografica del rio Faggiano e la direttrice Mamorra – strada fondovalle e per S. Maria di Castello. Appartengono al Miocene inf – Oligocene sup (30/20 milioni di anni fa). Sono ben visibili nelle scarpate alla sinistra idrografica del rio Faggiano (dopo Tabiano, andando verso Regnano)
ARENARIA DI BISMANTOVA
Sono calcareniti e marne calcaree sedimentate in loco in acque poco profonde, nel periodo Miocene medio-inf (20/10 mln anni fa). Sono di colore nocciola chiaro, bianco avorio alla frattura fresca; i granuli sono per la maggior parte di natura calcarea. Sono localizzate a m. Ciarlino, tra Cà Bertacchi e Regnano e rappresentano un residuo a nord della formazione di Bismantova, diffusa nel medio Appennino
Sono da segnalare anche le seguenti formazioni rocciose, non appartenenti alla sinclinale:
ARGILLE A PALOMBINI
Sono costituite da una alternanza di argille scure e calcarei silicei chiari e sono disposte lungo la direttrice Cà del Lupo – Cà Bertacchi – Cavazzone. Sono del periodo Cretacico inf. (120 milioni di anni fa)
ARENARIE DI OSTIA
Sono costituite da una fitta alternanza di arenarie e argille con intercalazione di argille varicolori, di base a flysh di M. Cassio. Sono del periodo Cretacico medio, epoca Turoniano e Cenomaniano (90 mln di anni fa) Si trovano a Cà del Vento.
Da segnalare due interessanti fenomeni effusivi freddi chiamati “Salse”, a Regnano e Casola Q.la. Quello di Regnano è il più rigoglioso dell’Appennino Emiliano.
SALSA DI REGNANO
E’ una manifestazione superficiale di giacimenti di idrocarburi gassosi, gas metano e anidride carbonica, che attraversando strati di argille, marne e falde acquifere, fanno affiorare una miscela fangosa fredda. Questa origina i caratteristici coni “vulcanici” con cratere terminale e le colate fangose, elementi caratterizzanti il paesaggio della Salsa. Nella fanghiglia talvolta sono presenti, in minima quantità, degli idrocarburi liquidi, testimoniati dalle striature nere nel fango. Le emissioni gassose avvengono anche in altre località dell’Emilia (Nirano, M. Barigazzo, Montegibbio,…), ma quello di Regnano è, quantitativamente, la più rigogliosa. L’intensità dell’attività eruttiva è visibile dal numero e dall’altezza dei coni fangosi e dall’ampiezza della colata; le emissioni gassose avvengono di solito a intervalli di pochi secondi una dall’altra e la loro intensità e frequenza non sono costanti nel tempo, e passano da fasi di quasi calma a momenti di eruzione più copiosa; la variazione dell’attività eruttiva non ha una periodicità precisa, ma dipende da fenomeni sismici che provocano l’aumento della tensione del gas.
La fuoriuscita naturale di gas metano, dalle sacche sotterranee dove è custodito, è dovuto ai movimenti di orogenesi (formazione dei rilievi) che hanno prodotto sinclinali e anticlinali (pieghe dello strato roccioso) e conseguente formazione di faglie (fratture e scorrimenti in verticale dello strato roccioso) con la creazione di condotti di collegamento tra il sottosuolo e la crosta superficiale. Una di queste pieghe e fratture (sinclinale e faglia) passa per Montebabbio-Rondinara-Tabiano-Regnano-Casola; ecco la ragione del manifestarsi della Salsa lungo questa linea (vedi Regnano e Casola Q.la, anche se quest’ultima in forma molto più ridotta).
Il nome Salsa deriva dal contenuto in salsedine (componente clorurato sodica) e conseguente sapore salato della fanghiglia, con una salinità pari a 1/2-1/3 di quella marina; la presenza di sale nella fanghiglia è testimoniata dalla mancanza di vegetazione nei terreni circostanti. Anticamente il fango era usato come medicinale per curare la dissenteria .
Il paesaggio della Salsa, con le bocche coniche e la fuoriuscita di “lava” liquida, che va a sovrapporsi ad altre colate essiccate, fa pensare ad una zona vulcanica in miniatura; non è però assolutamente paragonabile ad un vulcano, in quanto la “lava” è fredda e non vi è emissione di fumo, perché l’emissione non proviene da masse magmatiche del sottosuolo, e non vi è accrescimento roccioso in superficie: i coni non sono perenni, in quanto, una volta otturati, cessano la loro attività e vengono dilavati dalla pioggia.
Un simile fenomeno non poteva evitare il fiorire di leggende popolari. Una di queste racconta di una pecora che caduta nella Salsa di Regnano è fuoriuscita da quella di Casola o un’altra che racconta di capi di bestiame (pecore, maiali, buoi) caduti nella Salsa ed espulsi giorni dopo tutti spolpati. Naturalmente sono solo leggende in quanto la fanghiglia non è più alta di 0,5/1,00 m. nelle bocche più grandi, le fenditure da cui esce il fango sono sottili e non vi è nessun condotto diretto tra le due Salse.
Il gas che esce è, il più delle volte infiammabile e ciò dipende dalla variabilità dei rapporti tra metano e anidride carbonica; per provare basta sovrapporre una fiamma alle emissioni gassose per ottenere delle piccole vampate in occasione dei getti.
Sulla Salsa sono state compiute numerose ricerche. Di quelle documentate si ricordano quelle del mons. A. Marliani (1662-1674), quella del Vallisneri (1733) (F. Milani “Viano e il Querciolese nella storia” Tip. Casoli Castelnuovo Monti) però molto imprecisa nella descrizione del fenomeno e quella di L. Spallanzani, scienziato naturalista scandianese del XVIII sec. Egli compì diversi sopralluoghi alla fine del XVIII sec., intervistando i residenti e lasciò memorie scritte:”…Giace ella tra Scandiano, e Reggio, a cinque miglia dal primo, e a otto dal secondo, sulla pendenza d’una soave montagnetta, dove da lungi si mirano diciassette masse di bianca terra, formate a pane di zucchero, e più o meno verso la cima per traverso troncate, espandenti dalle troncature fangosi rivoletti giù scendenti per la declività del terreno. Andandovi da presso, scorgiamo che ogni massa è conforme il solito interiormente scavata a imbuto arrovesciato, dentro al quale bolle, si solleva, e fuor riversasi la fangosa semifluida materia, messa in moto, e all’insù sospinta da sotterranee bolle gazose. Taluna delle coniche masse lascia soltanto uscir la fanghiglia dagli orli, ma tale altra la caccia a due, a tre, ed anche a cinque piedi di altezza, ed ogni cacciata viene accompagnata da picciol rumore, che odesi sempre a qualche lontananza. E’ troppo chiaro che queste leggiere detonazioni sono il prodotto di uno sprigionamento di gaz, come effettivamente lo dimostra l’occhio avvicinatosi ad essa…”
“…Accostato al gaz un lumicino, levavasi egli tosto in una fiamma azzurro-rossiccia, che durava finchè il gaz proseguiva ad uscir di sotterra ma veniva meno, come è ben naturale, subito che il suo corso rimaneva interrotto…” (L. Spallanzani “Viaggi nell’Appennino Reggiano e Modenese” Boni ed. Bologna 1985
Un’altra importante testimonianza ci è stata lasciata dal dott. Gentili, abituale frequentatore del Querciolese, coevo delle Spallanzani, con il quale ebbe scambi di esperienze su questo fenomeno. Egli assisté ad una memorabile eruzione di gas nell’aprile del 1796 di cui lasciò memoria scritta. L’eruzione fu preceduta da rumori sotterranei, dal dilatarsi delle bocche di eruzione e dal formarsi di fenditure verticali; essa si manifestò con getti di fanghiglia all’altezza della chioma degli alberi vicini, con una maggiore emissione di gas senza intervalli, al punto che la materia scaraventata in alto si scontrava con quella discendente, con una pioggia di sassi e fango e con lo scuotimento delle case vicine. Una volta terminata l’eruzione il gas iniziò a uscire più cospicuo ed egli riuscì ad accendere 40 bocche di fuoco, alcune delle quali rimasero accese per 15 gg. Dopo l’eruzione, essendo venuto a meno la spinta sottostante, l’enorme massa di fanghiglia sprofondò causando una frana nei campi sottostanti.
Nel nostro secolo (F. Milani op. cit.) si segnalano due emissioni: una nel 1915 durata 15 gg., l’altra nel 1932, di cui gli anziani di Regnano hanno ancora memoria.
La quantità di gas che fuoriesce è insufficiente per uno sfruttamento come fonte di energia; in passato alcuni Enti e ditte hanno compiuto delle ricerche nei territori limitrofi. Nel 1940 a Regnano la Società Petrolifera Italiana ha scavato un pozzo, per cercare sacche sotterranee di metano, profondo 270 m.; l’AGIP, nel 1959 a Baiso ha scavato un pozzo profondo 1.505 m. e ,nel 1962, a Viano, un pozzo profondo 3.438 m. (A. Scicchi “L’attività estrattiva e le risorse minerarie in Emilia-Romagna” Modena 1972) L’ultimo risale ad alcuni anni fa compiuti da una ditta inglese in località Fagiola a S. Giovanni di Querciola.